COSTIERA AMALFITANA: doveroso recupero del ricordo di una presenza benedetta dal Signore. È fra' Ludovico, fratello religioso dei Francescani Conventuali, ancora vivo nelle pieghe della costiera amalfitana e nell'animo di quanti (alcuni ancora oggi viventi) furono colpiti e beneficati dalla sua bontà e semplicità
Quando il venti marzo del 1942 questo frate laico del Convento di Ravello passò ad altra vita, tutto il popolo della Costiera Amalfitana lo pianse come se avesse perduto una persona amica, un "santo" come egli era stato sempre considerato durante i lunghissimi anni di permanenza fra noi. Chi era Fra Ludovico, l'umile confratello dell'Ordine francescano, quel semplice e sorridente questuante che spese la sua esistenza scendendo, per ben 55 anni, a piedi a Minori o ad Atrani, portandosi poi, coi mezzi d'allora, a Scafati o a Pompei, a Salerno o a Positano per raccogliere le offerte che la gente spontaneamente e generosamente gli dava? Nei suoi pensieri non erano soltanto le necessità della Comunità a cui apparteneva (il Collegio Serafico che ospitava, per gli studi e la formazione religiosa, decine di fratini, molti Padri sacerdoti e insegnanti) ma lo accoravano i bisogni di tanti poveri mendicanti (storpi o infelici) che a quei tempi sostavano nei nostri luoghi, per cui pensava di assistere riversando quanto poteva del danaro avuto in elemosina lungo il suo peregrinare in provincia!
Fra Ludovico di Nardo era nato a S. Eufemia Maiella in provincia di Chieti il 24/9/1858. Entrò nell'Ordine il 2 febbraio 1887 nel Convento di Portici. Cominciò il novoziato ed emise la Professione semplice il 2 febbraio dell'anno seguente e subito fu destinato al Convento di Ravello, ove rimase fino alla morte.
Queste notizie le abbiamo trovate scritte in una breve ma edificante "Memoria" lasciata da Padre Giuseppe Maria Palatucci prima Superiore del Nostro e poi Vescovo di Campagna, un inedito firmato a Ravello il 26 giugno 1960.
In questo documento sono ricordate le doti e le virtù più esemplari, in senso religioso ed umano, di colui che ancor oggi è nel ricordo di molti.
Un grosso ritratto di Fra' Ludovico, dono del fotografo Savastano di Maiori (datato 24 agosto 1928) è conservato nella sagrestia della Chiesa di S. Francesco in Ravello: è l'effige più eloquente del carattere composto e modesto del frate: due occhi sereni ci guardano ancora, ci esprimono la dolcezza del suo animo; il corpo - coperto dal lungo saio - ci rivela la buona e forte razza originaria abruzzese.
Fin qui quanto abbiamo potuto e saputo scrivere in termini precisi (e quasi storici) del fraticello che conoscemmo. Ci sia ora consentito di riportare una diversa, ma pure devota ricordanza, che gli dedicammo anni addietro e che "qualcuno" ha voluto così, garbatamente commentare: "essere la nostalgia per una età che fu quella della sua giovinezza, anche l'affetto per un personaggio che ne incarnò i segreti aneliti di purezza e di solidarietà". Gentili amici de "Il Duca" rileggiamole insieme: "Giungevano quassù, a notte avanzata, i ritmi degli scalmi battuti contro le fiancate delle barche e le voci dei pescatori che ripetevano un nome quasi propiziatorio: "Sant'Anto'... Sant'Antò". Quelle voci e quell'invocazione provenivano da quei "vuzzi" o "paranze" che prima di sera, per una notte illune, avevano preso il mare dalle spiagge di Atrani, Minori o Maiori ed erano rivolte ad un frate laico del Convento di Ravello, fra' Ludovico di Nardo, la cui presenza sulle imbarcazioni era tanto desiderata e contesa, quasi potesse prodigiosamente (come era avvenuto già altre volte) far aumentare la pesca notturna, facendo riempire a dismisura le reti.
"Fra Ludovico era solito scendere, quasi giornalmente, in uno di questi paesi costieri e, nel tempo della pesca delle alici col le "lampare", vi ritornava anche due volte lasciando il Convento all'imbrunire.
La sua popolarità, accompagnata anche da una certa venerazione (che lui, però, schivava) aveva del singolare: la gente, già prima che lui iniziasse la "questua" lo chiamava, gli andava incontro per porgergli le offerte e per chiedergli preghiere e benedizioni. Dalle finestre, dai balconi le mamme protendevano i loro bimbi perchè egli li sfiorasse con una carezza o rivolgesse loro un augurio ("crisci santo e viecchio") agitando il cingolo che aveva stretto al saio.
"Mentre tintinnavano sul selciato le monete che cadevano ai suoi piedi da ogni dove, frotte di ragazzi lo attorniavano e allora fra' Ludovico, ponendo le mani nelle ampie saccocce della sua tonaca, cavava fuori quei gustosi carrubi (`e sciuscelle) da lui scherzosamente distribuiti come...
"Cioccolata"!
"Marì... Marì..., con questa affettuosa frase egli usava, in nome della Madonna, avvicinare le persone e invogliarle a mettere le mani nelle tasche, e le offerte non mancavano mai! Offerte che, in altre occasioni, consistevano anche in vari benefici e provvidenze di diversa natura per il suo Convento.
Ogni famiglia di queste nostre contrade sapeva (e spontaneamente) si preparava) che fra' Ludovico a gennaio sarebbe passato per lasciare gli orciuoli di terracotta ('e pigniatielli) da riempire di sugna (tempo delle uccisioni dei maiali in campagna); a maggio per ritirare i vasetti di "alici salate" e che in autunno si sarebbe fatto rivedere per raccogliere le conserve di pomodoro (essiccate sui "lastrici" infuocati dal sole) e, poi, olio nuovo, i barili di vino paesano.
"San Francesco ha carità e fa carità!": così ripeteva disfacendosi delle offerte quando si accorgeva degli altrui bisogni. Chi può mai dire quali opere caritatevoli compì, in varie occasioni, quell'umile fraticello?
"Intorno a quegli anni si era convinti che fra' Ludovico avesse anche delle altre "virtù" straordinarie (della cui attendibilità e credibilità ,molti non avevano dubbi). Vi furono dei casi durante i quali si ritenne gridare al miracolo: la rottura della catena del timone sulla motonave "EBE" (che allora collegava Amalfi e i paesi limitrofi con Salerno) e il guasto al trolley delle tranvie sulla linea Vietri-Pagani.
"L'insolito e misterioso avvenimento capitava sempre quando qualcuno, scettico o incredulo, costringeva frà Ludovico a lasciare il mezzo di trasporto o perchè trovato sfornito di biglietto oppure perchè non si gradiva che egli - acclamato com'era - continuasse la "questua" sui mezzi pubblici. E notorio, infine, che a chi lo redarguiva malamente, egli pazientemente si sottometteva dicendo: "Sant'Antò, piensaci tu!".
Riprendendo e concludendo i discorsi di oggi, vale ricordare che fra' Ludovico ha lasciato pure delle opere concrete nella sua Chiesa di Ravello: c'è una lapide a lui dedicata, del 1934, che fa sapere che la balaustrra dell'Altare maggiore e l'intero pavimento in marmo della navata furono il frutto del suo mendicare a pro del decoro del sacro edificio e ad onore del Beato Bonaventura da Potenza, che là si venera, avanti alla cui Urna egli - appena all'alba - si prostrava prima di iniziare la lunga giornata di bene!
Alla morte di "don" Giovanni Zagoruiko, nel 1964, le opere dell'artista russo, rimaste nello studio di Positano, furono vendute all'asta, non avendo egli lasciato eredi. In quella circostanza, scrive Carlo Knight - " i positanesi - che ormai nuotavano nell'oro grazie alle boutiques e al turismo - s'accorsero dell'importanza del pittore scomparso". I collezionisti fecero a gara per accaparrarsi i pezzi migliori. Alla fine rimasero da "battere" alcuni schizzi: uno di essi raffigurava un religioso, con il cappello a falde larghe tipico dei frati conventuali francescani. Il prezzo lievitò da duemila a trentamila lire per la caparbietà di chi non volle lasciarselo sfuggire, avendovi riconosciuto il personaggio.
A risultato raggiunto, dovette rintuzzare un'osservazione sarcastica, fatta a voce alta: "Ecco uno che ha perso la testa. Adesso si mette a comprare pure la carta igienica". Risposta: "Se mi fosse costato trecentomila lire, anzichè trentamila, l'avrei preso ugualmente".
Il disegno in questione, al di là del valore artistico, è un oggetto di culto. Ritrae fra' Ludovico, dei Frati Conventuali di Ravello, di cui Zagoruiko - terziario francescano - era amico ed estimatore. Venne realizzato, come indica la data in calce, nel 1932, durante un viaggio compiuto insieme sull'autobus tra Ravello e Amalfi. L'usura del tempo porta inevitabilmente a scolorire i ricordi. E' trascorso oltre mezzo secolo da quando, il 20 marzo del 1942, il religioso ("monaco `e cerca", cioè questuante) chiuse gli occhi, circondato dall'alone di santità che ne accompagnò l'esistenza terrena, vissuta per buona parte nel convento di Ravello. Vi fu assegnato, infatti, appena compiuto il noviziato, il 2 febbraio 1888. Bisogna esplorare la memoria degli anziani se si vuol tentare di ricostruire qualche episodio significativo della sua attività. L'immagine che riaffiora nella mia mente risale all'infanzia. Fra' Ludovico, ultraottantenne, ancora andava in giro a raccogliere l'obolo per le necessità della sua comunità e, soprattutto, per i fratini del collegio serafico annesso al convento. Ero tenuto per mano da mia madre che, nonostante le ristrettezze in cui ci trovavamo, gli mise dei soldini nella saccoccia. Egli mi accarezzò e disse: "Vuo' nu poco `e ciucculato?". Tirò fuori un pezzetto di carruba e me lo diede, facendo seguire al gesto l'augurio che ripeteva abitualmente, al cospetto di bambini: "Crisce santo e viecchio". Quella carruba essiccata in forno sembrava il "non plus ultra" della bontà. La cioccolata vera la mia generazione l'ha scoperta nel 1943, all'arrivo degli americani. Fra' Ludovico Di Nardo, nato a S. Eufemia Maiella (Chieti) il 24 settembre 1858, era, per tutti, "Marì-Marì": un'espressione evocante la Madonna, che adoperava in modo gioioso per richiamare l'attenzione della gente, in particolare delle donne. Gli bastava farsi sentire e, da finestre, balconi e terrazze, piovevano monetine. "Ogni famiglia di queste nostre contrade - raccontò Mario Schiavo in un articolo su "Il Duca" del 1/15 novembre 1992 - sapeva (e spontaneamente si preparava) che fra' Ludovico a gennaio sarebbe passato per lasciare gli orciuoli di terracotta ('e pignatielli) da riempire di sugna (tempo delle uccisioni dei maiali in campagna); a maggio per ritirare i vasetti di "alici sala-te" e che in autunno si sarebbe fatto rivedere per raccogliere le conserve di pomodoro (essiccate sui "lastrici" infuocati dal sole) e, poi, olio nuovo, i barili di vino paesano. "San Francesco ha carità e fa carità": così ripeteva disfacendosi delle offerte quando si accorgeva degli altrui bisogni.
Chi può mai dire quali opere caritatevoli compì, in varie occasioni, quell'umile fraticello?". La fama di santità se l'era guadagnata a furor di popolo per una serie di avvenimenti strabilianti. Di uno è testimone diretta la signora Carmela Abbagnara De Luca: "Mio padre era a letto, infermo. Mia madre si allontanò per pochi minuti, giusto il tempo di fare la spesa. Sulla via del ritorno, s'imbattè in fra' Ludovico e gli chiese di pregare per il marito malato. Tornata a casa, papà, che intanto stava meglio, le disse: "Ho visto fra' Ludovico, è venuto qua", il che, concatenando i due momenti, risultava impossibile". L'ipotesi che si sia trattato di bilocazione non è da scartare. Tutte le mattine, dopo un breve raccoglimento innanzi alla tomba del beato Bonaventura da Potenza, nella chiesa del convento, dedicata a San Francesco, fra Ludovico scendeva a piedi da Ravello ad Atrani o a Minori, attraverso una serie interminabile di scalini, e di lì raggiungeva gli altri paesi della costa. Si spostava anche a Salerno, nell'agro nocerino, a Pompei, utilizzando mezzi di fortuna.
Chi lo conosceva si fermava e volentieri lo traeva a bordo, si trattasse di un'autovettura o di una carretta non importava. Chi non lo conosceva, alla richiesta di "passaggio", a volte replicava in maniera sfottente: "Zi monaco, fattela a piedi!". "Sant'Antò, penzace tu!" era il suo commento. Risultato: Una diecina di metri più avanti l'auto rimaneva in panne oppure alla carretta o al calesse si sfilava una ruota. O, magari, il cavallo s'impuntava e non c'era verso di costringerlo a camminare. "Vi furono dei casi - raccontò Mario Schiavo - durante i quali si ritenne gridare al miracolo: la rottura della catena del timone sulla motonave "Ebe" (che allora collegava Amalfi e i paesi limitrofi con Salerno) e il guasto al "trolley" delle tranvie sulla linea Vietri-Pagani". Capitava quando gli proibivano la questua sui mezzi di trasporto o gli contestavano di non aver pagato il biglietto (e come avrebbe potuto, dato che, quasi ad ogni fermata, raccolte le offerte, si muoveva da un filobus all'altro?). I pescatori lo chiamavano "Sant'Antò", lo invitavano a salire sulle loro barche, a benedire il loro lavoro. Bastava questo per farli rientrare a riva, la mattina, con le reti stracolme di pesci.